Il negazionismo è, per definizione, la negazione di un fatto accertato. Negazione ideologica, contro ogni evidenza. In questi giorni si parla tanto di negazionismo scientifico in relazione a Trump, a Salvini, ai medici come Bassetti e Zangrillo, accusati dal mainstream di “negare” l’esistenza del Covid. Di ignorare le evidenze di laboratorio a fini politici o di tornaconto personale. Trovo tuttavia più consono discutere del negazionismo giornalistico, poiché non sono un medico, ma faccio il giornalista. E le competenze – ce lo insegna il governo in carica – vengono prima di tutto. Il Corriere della Sera si è oggi esibito in un virtuosismo negazionista. Il diktat ideologico è, ovviamente, negare i crimini degli immigrati. Contro ogni evidenza. Poiché si è costretti a dare notizia di un fatto eclatante – anche se Mentana, mentre scrivo, sta ancora esitando – si risolve omettendo il soggetto “sgradito”. In genere le ellissi giornalistiche sono verbali, ma qui si deve elidere l’attore protagonista. L’esito divinamente ironico di queste ellissi di propaganda è che il lettore appena un poco avvertito, quando non trova il soggetto di un crimine, deduce immediatamente che a commetterlo è stato un immigrato: «Milano, armato di coltello sequestra un vigilante in Duomo e lo fa inginocchiare: fermato». Chi era armato di coltello? Chi ha sequestrato un vigilante? Non c’è scritto, quindi sarà un immigrato.
La manipolazione più subdola argomenterebbe che non si vuole sbattere il mostro in prima pagina, darlo in pasto alla folla. Ma anche questo è negazionismo. Si nega cioè la guerra di potere in atto, dove è un altro il mostro designato da dare in pasto alla folla, ovvero chi nega la negazione. Il populista, il razzista, lo xenofobo. Trovo illuminante – a posteriori – questo passaggio tratto da Il capro espiatorio di René Girard: «La folla tende sempre verso la persecuzione perché le cause naturali di ciò che la sconvolge, di ciò che la trasforma in turba, non possono interessarla. La folla cerca l’azione, ma non può agire sulle cause naturali. Cerca dunque una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza. I membri della folla sono sempre dei persecutori in potenza, perché sognano di purgare la comunità dagli elementi impuri che la corrompono, dai traditori che la sovvertono». Ora, fino a questo punto ha gioco facile l’Internazionale Buonoide nel manipolare il corto colto e il dissonante spiegando come “il negro”, “l’immigrato”, “il diverso”, siano la causa accessibile su cui la folla fascio-leghista-trumpista vuole scaricare la sua cieca violenza. Mentre lo fa, tuttavia, mette in moto la stessa meccanica; al contrario. La folla – che sarebbe andata a caccia dell’immigrato, anche solo per animum arcendi – va ora a caccia del razzista. Nel presente e nel passato. Fino a sradicare statue e a sfregiare icone. Fino a negare la storia. Ma proseguiamo con Girard, perché tutto diviene cristallino: «Il diventare folla della folla è una cosa sola con il richiamo oscuro che la riunisce o che la mobilita, in altre parole, che la trasforma in mob. Da mobile, in effetti, viene questo termine inglese distinto da crowd come in latino turba è distinto da vulgus. La mobilitazione è soltanto militare o partigiana, cioè contro un nemico già designato, se ancora non lo è stato, dalla folla stessa grazie alla sua mobilità».
Oggi, quel “richiamo oscuro” che riunisce e mobilita le folle, che guida la loro militanza violenta, che identifica per esse il nemico, il colpevole, l’indegno, che nega la verità oltre ogni evidenza, non è poi tanto oscuro. Un tempo erano le minoranze etniche e religiose a esporsi alla distorsione persecutoria. Oggi, il senso di colpa storico verso queste ultime e la gratificazione narcisistica garantita dalla solidarietà hanno permesso ai padroni del soldo di capovolgere la dinamica sulle ali angelicate del terzomondismo chic – in un esotismo che tiene il puzzo del selvatico a distanza – e dell’accoglienza cattocomunista – cioè ospitale a case degli altri. Sono le rivendicazioni delle maggioranze silenziose – le più pericolose – a essere avvelenate preventivamente; accusate di partecipare al sabba razzista, “reazionario”, dallo scheletro di potere “progressista”, aiutate dalle minoranze etniche e religiose, dalle élite culturali e multimediali pettinato-prezzolate come dal perbenismo militante delle folle rumorose – vere capre espiatorie, a loro insaputa – che inconsciamente temono il castigo del dominio più dell’autodistruzione. L’establishment “progressista” è in violenta reazione, nel furibondo tentativo di conservare la dote arraffata. Simulando solidarietà, fingendo di parteggiare per i più deboli, li rende forti al solo fine di indebolire l’opposizione e con essa il pensiero dialettico. Per evitare che le folle – sempre più numerose, affamate, sempre più vicine nelle rivendicazioni e unite da un comune carnefice – si scatenino compatte contro di esso, divide e impera.