Il Covid è fra noi, senza posa, per cui cerco di parlarne il meno possibile. Malauguratamente il governo si appresta a prorogare lo “stato di emergenza” e Speranza parla di altri “7/8 mesi con il coltello fra i denti”. Al di là del fatto che trovo difficile tenere un coltello fra i denti sotto la mascherina, la scelta delle locuzioni è sempre indicativa. Indicativa del vuoto di pensiero che si traduce in vuoto semantico. Emergenza deriva dal verbo emergere (che si tuffa fuori) e indica un evento improvviso, inopinato. Uno “stato”, al contrario, è per definizione condizione statica, senza sussulti. Stato di emergenza si delinea quindi come un maldestro ossimoro. Più prosaicamente e seriamente, che stracazzo di emergenza Covid-19 può esserci a ottobre, se da marzo, a reti unificate, non si parla d’altro che di emergenza Covid-19?!
Ora, mi si permetta una riflessione più generale, che mi auguro vorrete arricchire con le vostre osservazioni e le vostre esperienze. Sono di Piacenza, quindi ho piena contezza di quanto vigliacco sia stato e sia questo virus. Tuttavia, noto come i processi cognitivi vengano drogati dalla divulgazione. Ogni giorno che Dio manda in terra, corriamo dei rischi. Calcolati per approssimazione, in dialettica costante fra soggettività e oggettività. Esco di casa e rischio di cadere dalle scale, spesso lasciate umide dalla Gerarda. Procedo sul marciapiede e rischio di essere travolto da scooter, biciclette e monopattini. Inforco la mia Crf e qui il rischio aumenta. Soggettivamente diminuisce per il piacere che provo nello scorrazzare, ma oggettivamente cresce a dismisura perché sono in precario equilibrio su due ruote ad alta velocità. Mi siedo al ristorante e dopo aver consumato una formaggetta, mi accendo una Davidoff. Il fumo è un rischio, calcolato per approssimazioni e scaramanzie. Ma è un rischio oggettivo che fa 8 milioni di morti all’anno. Anche il colesterolo del formaggio è un rischio. Vivere comporta rischi e chiedo scusa agli intelligenti per l’ovvietà. Come vi raccontavo, qualche settimana fa ho visto una bella mamma in bicicletta, con un bel bambino di circa sei anni sul seggiolino, che procedeva in contromano in una via angusta e trafficata parlando al cellulare. La mamma indossava diligentemente una mascherina. Questo vivido esempio certifica il delirio euristico che stiamo vivendo. Dove le persone – bombardate dalla propaganda e spesso a livello inconscio – sono portate ad allarmarsi per elementi di rischio evanescenti mentre ne corrono di solidissimi in assoluta scioltezza o nella totale noncuranza. Immaginate per un momento uno scenario dove i riflettori mediatico/istituzionali fossero indirizzati soltanto sugli incidenti stradali. Immaginate che ogni giorno si facesse un bollettino di morti e feriti. Immaginate di vedere i corpi straziati, di sentire le grida fra le lamiere. Seguite le telecamere negli ospedali. Ascoltate le interviste alle madri che hanno perso il figlio, magari falciato sulle strisce pedonali da un ubriaco al volante, come accadde nel 2006 al mio migliore amico. Figuratevi un mondo in cui dei droni seguissero gli automobilisti per verificare chi usa il telefono mentre guida. Gente alla finestra pronta a chiamare i carabinieri per un motociclista in senso vietato. Seminari, tavole rotonde, dibattiti… sulla strage quotidiana del ferro che l’umanità affronta, apparentemente complice. Ceronetti ne sarebbe stato profeta e cronista insuperabile. I virus della distrazione, della superficialità, dell’arroganza, che mietono vittime, spesso innocenti. Una mattanza. Avete immaginato? Adesso vi domando, scendereste in strada sereni come oggi? Quella bella mamma sarebbe stata così scriteriatamente su quella bicicletta?
In genere il covidiota a questo punto infetta il dialogo con l’argomento “virulenza”. Un virus può infettare, certo; è la sua ragion d’essere. Ma qui il veleno della manipolazione viene versato nell’orecchio dell’emotività di massa, cominciando a sussurrare con parole lasche, a dire e non dire. Va bene, rischio di contrarre il virus. Quando rischio, di preciso? Quanto rischio, approssimativamente? Non è dato sapere. La Scienza ha solo opinioni. Ciònondimeno, come in ogni altra attività della vita, sarebbe ragionevole concedermi la possibilità di prefigurarmi una percentuale di rischio e decidere se correrlo o meno. Non so esattamente quante probabilità ho di essere investito sulle strisce pedonali, ma inconsciamente le valuto e decido di attraversare comunque. Con il Covid non posso decidere di attraversare. Se vogliono chiudermi in casa, mi chiudono in casa. Ed io zitto, altrimenti sono un irresponsabile, un negazionista. Ma tornando all’argomento fallace della virulenza, senza soffermarmi sul reale tasso di mortalità della malattia e sui pericoli di vita che corre una persona sana di mezza età, quand’anche venisse colpita, segnalo che pure un coglione intento a travolgermi con l’auto, a suo modo, mi infetta. Mi infetta passandomi sopra. Se è un fondamentalista islamico, poi, può mostrare un’estroversa carica virale e travolgerne tanti in una volta sola. Eppure non vi sono controlli sulle strade. La polizia è vergognosamente concentrata sulle sanzioni “amministrative” e sui divieti di sosta, mentre ignora i comportamenti delinquenziali di molti automobilisti e motociclisti (su questo tema scriverò presto un articolo, perché i dati Istat sono specchio di un meccanismo repressivo che mira solo a intascare e non a rendere più sicura la circolazione), mentre per la Febbra di Wuhan abbiamo assistito a scene patetiche, con poliziotti che inseguivano solitari corridori da spiaggia. Andrebbe poi aggiunto, per i terzomondisti più simpatetici, che fra le malattie febbrili c’è comunque di peggio. Nel solo 2018, la malaria ha colpito 228 milioni di persone e ucciso 272mila bambini. Benaltrismo? La loro vita non conta? Eppure c’è molta gente – specie fra i corto colti accoglientisti di cui sopra – convinta che il Covid sia il peggior flagello della contemporaneità. Ebbene, cittadini non votanti di questo Stato di emergenza, noi tutti nutriamo la speranza che fra altri sette/otto mesi di emergenza, l’emergenza finirà.