Poiché molti amici mi domandarono e mi domandano di spiegare il perché Colpi Bassi non è più stato aggiornato, trovo giusto, ora che non sono più ospite del Giornale, divertirli con i dettagli. Ripercorriamo dunque i fatti. In data 3 febbraio vergai un pezzullo satirico sui cinesi di Milano e sull’arrivo del Coronavirus dal titolo «Il razzismo come vaccino», che vi riporto immantinente nella sua interezza:
«Il razzismo è un male subdolo, che potrà essere estirpato solo da una grande rivoluzione culturale. Purtuttavia ha i suoi vantaggi. Io per esempio non sopporto i cinesi. Amo il cinema di Hong Kong, ma abomino i cinesi e abitualmente li scanso. Puzzano di cantonese o mandarino, urlano sillabe tonali invasive, guardano il mio cane con avidità famelica, non si tagliano le unghie, non pagano le tasse e posteggiano ideogrammi in seconda fila. In genere si suole rassicurare i lettori con frasi tipo “in realtà ho molti amici che adoro”, ma non è questo il caso. Quindi capirete quanto il mio pur colpevole razzismo sia preservativo in queste virulente e paranoiche giornate; l’istintiva profilassi del fastidio epidermico mi preserva infatti dall’imbarazzo di dovermi distanziare controvoglia da ogni cinese che incontro sulla via. Oggi osservavo due tollerantissime e inclusivissime signore di Procaccini che, pur negando l’esistenza delle razze, scansavano furtivamente ogni muso giallo di passaggio. Ma con quale senso di colpa lo facevano! Refrattarie a ogni discriminazione, missionarie dell’integrazione, insensibili alla sinofobia, avrebbero voluto farsi avvicinare, cucinare, abbracciare, ma non osavano. Così le ho abbracciare io per tutti i cinesi di Paolo Sarpi e del mondo intero, nella speranza che non siano state contagiate dal mio pestifero razzismo».
L’articolo portava come immagine di copertina una scena tratta dal film Still Life di Jia Zhangke, che al Giornale.it dubito abbiano mai apprezzato. Il giorno successivo mi arrivava infatti una telefonata dal responsabile del sito in cui mi si annunciava sbrigativamente che il blog era stato chiuso e che non potevo più disporre delle credenziali per accedervi. Il mio articolo era stato infatti giudicato dalla redazione «pericolosamente xenofobo» e si temevano proteste della comunità cinese. Alla mie delucidazioni sulla natura scanzonata del pezzo, che anche un cinese avrebbe inteso, mi si rispondeva che le idee espresse erano comunque inaccettabili per una testata come il Giornale. L’adorabile ironia della tùke ha fatto in modo che mentre mi si toglieva la parola per non «offendere la comunità cinese», gli italiani venissero discriminati dalla stampa indigena e internazionale come fetenti untori del mondo intero, tanto da suggerire allo stesso direttore Alessandro Sallusti di scrivere qualche giorno dopo: «Siamo sicuri che la Regione Lombardia farà tutto il possibile per arginare la falla in fretta e bene, ma per favore ora basta con le stupide manifestazioni di solidarietà delle amministrazioni di sinistra con le comunità cinesi e con i soggetti a rischio che non fanno che aumentare il pericolo di contagio. Anche questo tipo di antirazzismo può fare più danni del razzismo». Ma veniamo alla mia replica ufficiale:
Gentilissimi,
a seguito della conversazione avuta venerdì sera con Andrea Indini, ci tenevo a esprimere qualche modesta osservazione. Curo il blog Colpi Bassi dal 28 febbraio 2017 e in tre anni è la prima volta, se non vado errato, che ho il piacere di ricevere una telefonata dal responsabile del sito. Avevo parlato con Domenico Ferrara, per una gentile richiesta di emendamento, ma null’altro. Sono consapevole che nei giornali non esiste più una dialettica culturale fra redazione e collaboratori, un confronto di idee o anche solo l’uzzolo di farsi gli auguri natalizi. Ma che alla prima telefonata, indubitabilmente négligé con brio, mi si annunci la revoca delle password e la chiusura del blog… mi pare oltremodo scortese. Ora, io non so quale sia la prammatica in uso nel mondo digitale, ma fra giornalisti in genere si usa un diverso riguardo. Tuttavia, non sono certo qui per fare il gentiluomo offeso che sfida a duello per ottenere soddisfazione. Non mi sento offeso; sono piuttosto sbalordito. Sbalordito poiché giusto poche settimane fa avevo letto con gusto un pezzo scritto dallo stesso Andrea, dal titolo “In difesa del politicamente scorretto”, che mi aveva persuaso una volta di più su di un comune sentire. Comune sentire che aveva fondamenta di cemento armato, perché prima ancora di essere blogger, sono stato lettore del Giornale, e so quanta insofferenza abbia sempre nutrito e manifestato verso le ipocrisie sinistre e il pensiero filisteo. Quindi è con viva sorpresa che ho ascoltato la sua reprimenda sull’inaccettabilità di certe scorrettezze, sull’inopportunità di un certo linguaggio, sulla sensibilità ferita della comunità cinese in tempi suscettibili come i nostri. Ero convinto che “i crociati del politicamente corretto” fossero gli altri, ma devo aver capito male. Ciò precisato, non era necessario essere luminari di pragmatica per interpretare correttamente lo spirito del pezzo; anche un lettore nel pieno della pubertà avrebbe afferrato che il tono era scanzonato e come le parole non andassero prese alla lettera. Tanto più che negli oltre 250 commenti – giunti fino all’inopinata chiusura – il dibattito aveva facilmente preso atto della parodia, fatta eccezione per i noti troll comunisti, a cui sembrate allinearvi. Per sapere cosa ne pensassi seriamente dei cinesi, bastava leggere il pezzo Capire la Cina, che avevo pubblicato nel 2017.
In questi tre anni ho animato il diario con una certa continuità, con passione e con riscontri notevoli, come vi avevo già ricordato in una mail di marzo. So che chi gestisce un blog è di fatto ospite, ma ben vengano gli ospiti che allargano la platea e apparecchiano vivaci tavole rotonde. Una media di quasi 300 commenti a post negli ultimi due anni, con punte di 800, è riscontro sicuramente di pochi. E avevo trovato amici veri, fra i commentatori, alcuni dei quali ho anche avuto occasione di conoscere personalmente. Posso dire di essere riuscito a creare una piccola comunità, se non è locuzione troppo sovranista, di aver instaurato una fidelizzazione, per usare espressione più marketing-friendly. E voi che fate… oscurate arbitrariamente questo spazio senza neppure un confronto vis-à-vis con l’interessato?! Mi togliete le password e l’accesso per un pezzullo satirico sotto cui io solo metto la firma, come i più stolidi pretini del pensiero unico?! Con rinnovato sbigottimento, ne prendo atto. Tenete solo presente che, a tempo perso, faccio il giornalista. Una decina d’anni fa mi sono addirittura preso la briga di superare l’esame da professionista, cosa che sicuramente avrete fatto anche voi, ma che oggi sembra essere inutile orpello per il mestiere. Quindi, da giornalista, ci vedo la notizia:
«Il Giornale online, sedicente avamposto della libertà di pensiero e baluardo contro le mistificazioni buonoidi, censura uno dei suoi blogger più letti perché non in linea con il correttume di propaganda. Peggio delle peggiori testate di sinistra!». Una cosa del genere. (…)
Cordialmente,
Augusto Bassi
Il giorno successivo, mentre mi sgambavo lungo un fiumiciattolo che schiumava, rugliava, ribolliva e correva nel suo alveo roccioso, giunge una nuova chiamata, questa volta molto più cordiale e istituzionale. All’apparecchio favellano sia il responsabile del sito sia l’amministratore delegato, uomo di piacevole cultura e bella facondia. I due cercano di rabbonirmi con il piglio dei fratelli maggiori, dicendomi che il blog non volevano proprio veramente davvero chiudermelo, ma solo sospenderlo per qualche tempo, finché le acque del Coronavirus non si fossero calmate. Proseguendo poi con un vivace fervorino sul senso di responsabilità, sul fatto che poi sono loro a cuccarsi le telefonate di protesta, già arrivate a tal proposito, dicendomi infine che se Sallusti si fosse presentato in televisione e un Travaglio qualunque lo avesse accusato di ospitare sul suo Giornale blog razzisti, si sarebbe creato insostenibile imbarazzo. La telefonata era in realtà un colpo di sonda per capire se avevo intenzione di fare casino sulla cosa o se potevano ammansirmi con qualche pretenziosa e pelosa coglionata. Da parte mia, pur difendendo il vilipeso diritto a scrivere, in fede, quello che ritenevo opportuno, li rassicurai molto. Mi limitai a ribadire che chiudendo la discussione non oscuravano solo me, ma anche voi, cioè una comunità di persone unite da idee liberali e anticonvenzionali, che il Giornale nacque precipuamente per difendere. Così facendo, sottolineai, date ragione a chi sostiene che il Giornale è come tutti gli altri gazzettini di propaganda, appecoronato a interessi sovranazionali e intenzionato a esibire un giornalismo con il pene vizzo e le palle mosce. Mi si garantì il contrario. Ci lasciammo con l’intenzione di far passare la possibile buriana cinese e poi risentirci al fine di riavere le credenziali. Una settimana dopo – mentre iniziava a rendersi evidente che la febbriciattola d’importazione poteva creare qualche problema in più delle mie buffe discriminazioni – chiamai lo stesso Indini per avere lumi sulla riattivazione del blog; a quel punto mi venne definitivamente comunicato che in fondo, viste le ultime spiacevoli peripezie e la mia mail «intimidatoria», a loro non andava di proseguire la collaborazione. Ne presi atto, segnalando di aver trovato ben più intimidatorio il silenziarmi dopo tre anni da un giorno all’altro e chiesi almeno la possibilità di lasciare un ultimo messaggio per salutarvi. Mi fu generosamente concesso a patto che fosse inviato a loro e da loro messo online, per verifiche. Dopo i 5mila commenti in calce a quell’ultimo post – forse non messi in preventivo dalla direzione – la fine della storia è la nascita di questo blog. Mentre la morale della favola sull’informazione italiana… la lascio a voi.