Come forse saprete, il campionato sportivo più importante al mondo, la Nba, ha interrotto le sue partite come protesta per l’ennesimo atto di violenza di un agente di polizia verso un uomo di colore, avvenuto a Kenosha, Wisconsin. La franchigia dei Milwaukee Bucks si è fatta avanguardia della ribellione, boicottando il proprio match contro gli Orlando Magic: «The past four months have shed a light on the ongoing racial injustices facing our African American communities. Citizens around the country have used their voices and platforms to speak out against these wrongdoings. Despite the overwhelming plea for change, there has been no action, so our focus today cannot be on basketball».
Barack Obama ha lodato i giocatori per aver tenuto la schiena dritta innanzi ai valori in cui credono. Così tutta la stampa democratica e la parte civile dell’opinione pubblica internazionale. La protesta, che ha in seguito coinvolto tutte le squadre ancora in corsa per il titolo, è durata tre giorni, durante i quali ha scosso le coscienze e trasfigurato il mondo. Poi, paga, satolla di giustizia, si è interrotta e i giocatori sono diligentemente tornati sotto canestro per i playoff del Covid, dove nella “bolla” di Disney World si gioca senza pubblico, a tutela della pubblica salute. Ma i campioni della pallacanestro americana già prima della coraggiosa presa di posizione dei Bucks erano scesi in campo contro le diseguaglianze, con scritte manifesto sulle proprie canottiere: “Equality”, “Black Lives Matter”, “Peace”, “Love Us”, “Respect Us”, “How Many More”, “No Racism” e tante altre, tuttora indossate come vessillo di impegno per la parità. Alcuni giocatori stranieri, come il fenomeno sloveno Luka Doncic, portavano l’aforisma di riferimento scritto nella propria lingua madre. Il nostro Danilo Gallinari ha scelto l’impositivo apoftegma “Giustizia”. Ora, questa struggente favola uscita dal Magic Kingdom di quel parco a tema che è la contemporaneità suscita molteplici osservazioni. Lanciamoci dunque alla Oladipo in campo aperto.
Come prima ispezione basterebbe leggere le statistiche per rendersi conto delle enormi orecchie di topo che spuntano alla propaganda. I poliziotti – bianchi, neri o gialli – ammazzano più bianchi di quanto ammazzino neri o ispanici, che pure hanno una estroversa tendenza a delinquere. Se esistono poliziotti bianchi che ammazzano gente nera “a causa del clima di odio razziale fomentato dalle istituzioni”, ve ne sono meno oggi di quanti ve ne fossero sotto la presidenza Obama. La minaccia più pericolosa per la comunità afroamericana viene dagli afroamericani stessi: il 90% dei neri morti ammazzati è finito morto ammazzato per mano nera. Le scritte “Love Us”, “Respect US” – sorvolando sul fatto che amore e rispetto non si comandano – a chi di preciso sono dunque indirizzate? I neri dovrebbero amarsi, rispettarsi, fare innanzitutto pace con se stessi. Ma non sottilizziamo su questioni razziali, che sono ovviamente specchietti per allodole broccole poiché nel mondo, in ogni luogo e ogni giorno, ci si ammazza precipuamente per mere beghe di prossimità più che per idiosincrasie etniche. Vi sono aspetti ancor più macroscopici in questa patetica burattinata, dai quali le questioni razziali di cui sopra dovrebbero sviare l’attenzione delle inebetite moltitudini. La stella dei Los Angeles Lakers Lebron James – King James, come si auto-incorona – ha calcato il parquet con la scritta Equality sulle scarpe da gioco Nike. Equality = eguaglianza.

Lo stesso James nel 2016 firmò un contratto a vita che lo lega alla multinazionale dell’abbigliamento per una cifra vicina al miliardo di dollari. Fra “stipendio” e sponsor, il Re quest’anno percepirà 92,4 milioni di dollari; 228mila euro al giorno. James incarna come pochi altri esseri umani l’assolutismo, il dispotismo della diseguaglianza. Per doti naturali come per valore di mercato arbitrariamente attribuito a quelle doti. Eppure, non soltanto non è percepito come un usurpatore da tutti quei militanti di sinistra barricati a difesa del proletariato né da tutti quei cristiani che vogliono togliere ai ricchi per dare ai poveri, ma può finanche permettersi di calcare il palcoscenico della buffonata globale sulla scritta “Equality”, fra gli accorati applausi dei democratici facoltosi e le adoranti urla dei fratelli di colore che vivono nei ghetti con due dollari al giorno, sbudellandosi a vicenda mentre ringhiano contro il razzismo dei bianchi salariati.