«Sarebbe gravissimo se i capi di Stato e di governo non si assumessero le loro responsabilità. I cittadini hanno il diritto di conoscere le indicazioni delle leadership europee». Ricordo ancora le parole sferzanti di David Sassoli del 27 marzo scorso, quando nel corso di un’intervista alla Rtve, ammoniva gli esecutivi nazionali. Quel rigurgito sovranista da parte del presidente del Parlamento europeo, nel pieno della prima ondata di pandemia, mi aveva commosso. L’integrazione continentale, il multilateralismo, la condivisione, sono valori sacri, ormai imperituri. Il principio di libera circolazione, la lotta agli egoismi nazionali, fiori all’occhiello. Ma di fronte ai flussi migratori e alle pandemie globali, inevitabile richiamare i singoli Stati alle proprie responsabilità per levarsi il più sbrigativamente possibile i ricci dalle mutande.
La UE è un’organizzazione sovranazionale che ha garantito pace e benessere ai popoli, la casa comune dove ci siamo rifugiati per difenderci dalle guerre, ma appena i problemi diventano sovranazionali, caccia tutti fuori e invita i capi di Stato a lavare i panni sporchi in famiglia. Gli inalienabili valori di solidarietà sanciti dalla Carta di Nizza si esercitano con il blocco dei transiti al Brennero. Le impositive rigidità della moneta unica e i grifoni anti-deficit si sono inteneriti di fronte alla fratellanza che ci unisce come un clan, ma che comanda a ciascuno di essere responsabile e cavarsela da sé. Inefficaci se non autodistruttivi sono gli strumenti nazionali in una dimensione globale, ci hanno sempre ammonito; ora invece diventano necessari, vieppiù provvidenziali. Personalmente mi trovo d’accordo con David Sassoli, perché sono euroagnostico e perché mi manca tanto la sua faccia da spaghetti western quando guardo il telegiornale; ma se fossi un capo di governo, devoto europeista, risponderei al presidente del Parlamento che “sarebbe gravissimo se l’Unione europea non si assumesse le sue responsabilità proprio in tempi di pandemia. Perché i cittadini europei hanno il diritto di conoscere le indicazioni della loro massima leadership». Massimo Giannini, dopo averci segnalato che il vero morbo non era il Coronavirus, ma la paura – e Salvini il vero untore, capace di esercitare quella sola cifra politica aizzato dai propri elettori – ora ci mette tanta tanta paura da una nazionàl-popolare terapia intensiva, ricordandoci ancora che lui non si sente cittadino italiano, bensì europeo.
Nel frattempo, Ursula von Der Leyen, forte dalla confidenza che lega l’Unione alle case farmaceutiche, annuncia che nel corso del 2021 «avremo 1 miliardo e 200 milioni di dosi con cui potremo vaccinare 700 milioni di persone, più del necessario per l’Unione europea, e potremo includere anche altre nazioni a reddito medio-basso». La presidente della Commissione conosce già il numero esatto – un miliardo e 200 milioni di dosi – di un vaccino che, per quanto ci è dato sapere, ancora non esiste. In realtà, l’UE dell’integrazione, della partecipazione, della condivisione, della libera circolazione, la casa comune, l’unione di auspici, di vite, di destini, nemica dei muri, dei rancori, della xenofobia… lungi dall’essere in terapia intensiva, per adesso è soltanto in volontario auto-isolamento: proprio come la nostra Ursula.